Da una storia che ha dell’incredibile David Trueba trae un racconto dal fascino inaspettato
Attraversare la Spagna inseguendo un sogno, riuscire a intrufolarsi su un set blindato e ottenere una anteprima di una delle canzoni più famose della storia della musica da una leggenda della stessa ha qualcosa di talmente assurdo che non poteva non essere il soggetto di un film. Per non parlare del fatto che si tratti di una storia vera! Onore al merito a David Trueba di aver realizzato questo La vita è facile a occhi chiusi, ma ancor più allo spagnolo Juan Carrión di averla vissuta davvero, credendoci fino in fondo.

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Qui si svolge l’apice della vicenda, ed emerge la carica didattica della storia, ma è durante il lungo viaggio del protagonista, e dei suoi due improvvisati compagni, che si costruisce il rapporto tra loro, e con noi. E che prende corpo la capacità del film di attrarre il pubblico. Cámara domina la scena dall’inizio alla fine, ma le figure che Trueba gli mette accanto, arricchendo la storia vera originale, diventano l’occasione per parlare di una parte poco felice della storia nazionale.

E (passiva) aggressiva, a suo modo. Più che nel didascalico insegnamento del primo verso di Strawberry Fields Forever e nella reazione alla grettezza più evidente, forse nell’invito a saper distinguere. Acombattere le battaglie giuste. Senza travalicare i propri limiti o arrogandosi diritti non dovuti. E soprattutto restando pronti all’ascolto di quanto le persone non dicono. Capaci di tradurre gli altri, come si traduce una canzone (e senza l’aiuto dei testi, che i Beatles – lo dice la storia – iniziarono a inserire nei dischi solo dopo l’avventura di John in Spagna).
Per questo film che ha collezionato ben 6 Premi Goya (che costituiscono l’equivalente iberico dei David di Donatello), David Trueba, che all’epoca non era ancora nato, si è ispirato alla storia vera del professore di inglese Juan Carrión che incontrò John Lennon sul set del film di Richard LesterCome ho vinto la guerra e al quale chiese chiarimenti sui testi delle canzoni. Dopo quell’incontro (e forse grazie ad esso) gli LP realizzati dai Beatles riportarono sempre i testi delle canzoni. Trueba, grazie anche alle ottime prestazioni dei suoi interpreti ricostruisce con grande tenerezza quella situazione mostrando tre solitudini di età diversa che sono alla ricerca non solo di John Lennon ma anche (e soprattutto del senso della loro esistenza). Un’esistenza che è costretta a tentare di tracciare nuove strade sotto la cappa soffocante del franchismo.
Perché il verso che apre “Strawberry Fields Forever” (‘Life is easy with eyes closed’) rappresenta perfettamente la condizione esistenziale in cui la dittatura aveva costretto gli spagnoli. Era molto meglio non vedere (o, peggio ancora, fingere di non vedere) gli schiaffi dati agli allievi a scuola o le cariche della polizia al minimo tentativo di manifestazione popolare, fare cioè quello che avevano dovuto fare anche i venerati Beatles quando avevano suonato dinanzi al Caudillo Francisco Franco. Senza mai perdere il senso della misura, senza mai gridare ma con un solido senso della dignità e con una semplicità che ne connota le azioni, il professor Antonio offre una lezione di civismo e di civiltà ai due ragazzi non limitandosi però solo ad insegnare ma anche offrendogli la sua disponibilità all’ascolto. Rivelandogli solo alla fine il segreto di quale sia il soprannome che i suoi allievi hanno affibbiato a un docente che ha insegnato loro che qualche volta nella vita è necessario chiedere “Help!”.
News
Vincitore di numerosi Premi Goya e apprezzatissimo in patria, il nuovo film di David Trueba si inserisce nella tendenza contemporanea a utilizzare fatti storici per gettare uno sguardo sulla società dell’epoca. Qui siamo in pieno franchismo e un professore di Inglese, appassionato di Beatles al punto di usare “Help” per spiegare la lingua anglosassone agli studenti, vuole a tutti i costi conoscere John Lennon. Il cantante del gruppo si trova in Almeria, dove solitamente si giravano spaghetti western, per realizzare Come ho vinto la guerra di Richard Lester – film, sia detto per inciso, che andrebbe riproposto e rivisto. Speriamo che il successo di Trueba ne stimoli la conoscenza.
Dunque, la scusante narrativa di Lennon è: mettersi in viaggio e dare vita a un road movie. Essa serve al regista anche per riflettere sul franchismo e sulle censure sociali e culturali che hanno strangolato la Spagna per tanti anni. Tuttavia, se vogliamo mettere da parte l’analisi storiografica e concentrarci sulla cornice narrativa, viene più che altro da riflettere sulla presenza/assenza di Lennon. L’icona è talmente nota che Trueba rinuncia, da subito, a un sosia o ad attori che gli assomiglino. La ricerca diventa spasmodica, e la figura del divo sempre sfuggente. Un’ombra. Un fantasma. Il fantasma della libertà, secondo Trueba.
È curioso il destino del rock al cinema. Le sale si riempiono di biografie documentarie, e tra esse ultimamente sembra affermarsi il documentario di montaggio. Che altro affermano, in fondo, Amy o Janis se non che con il footage rimasto a noi posteri si può conoscere la donna dietro l’icona? Che altro afferma di poter fare il documentarista se non di poter svelare – attraverso la selezione e messa in forma dei materiali – la vera essenza della star dietro la sua esposizione pubblica?
La vita è facile a occhi chiusi compie un percorso contrario. Lennon non esiste, o meglio esiste solo come simbolo in trasferta di una possibilità, di una emancipazione dalle regole che, se nei Paesi liberi poteva costare giusto qualche reprimenda, nei Paesi totalitari o semi-totalitari come la Spagna faceva la differenza tra essere liberi e non esserlo.
Un ruolo del rock, nell’idea di Trueba, legato a doppio filo alla storia politica occidentale, ed europea in particolare. Un ruolo forse non immaginato da Lennon, che di lì a poco avrebbe peraltro abbracciato a tutti gli effetti la causa libertaria e pacifista, pagando infine con la vita la propria capacità di esprimersi (e di eccitare animi poco equilibrati).
Infine: la storia raccontata da Trueba si svolge nel 1966. Il bel 1964 – Allarme a N.Y. arrivano i Beatles, invece, si svolge nella data del titolo. Robert Zemeckis narra le speranze di quattro ragazzini del New Jersey che cercano di vedere (e incontrare) i Beatles durante il loro primo tour americano. Insomma, i Beatles hanno decisamente segnato il cinema. Con la loro assenza oltre che con la loro presenza.
Volano sberle nella Spagna di Franco. Educatori, genitori, bambini, adulti, religiosi: tutti schiaffeggiano tutti. E picchiano forte. Tutti tranne i tre protagonisti e i loro amici (il catalano dell’osteria), isola felice di gentilezza, buone maniere e fantasia in un paese dominato dalla violenza e dalla paura.La trasferta iberica di John Lennon, che nel 1966 passa un periodo in Almeria a fare l’attore, è motore del viaggio di Antonio, prof che insegna inglese attraverso le canzoni dei quattro di Liverpool e che si mette in auto diretto a sud per provare a incontrare Lennon e parlargli. Per strada raccoglie due «fuggitivi» (una giovane incinta e un ragazzo in cerca d’indipendenza dai modi autoritari del padre poliziotto) che diventeranno i suoi compagni d’avventura. Road movie aggraziato e dolce, piacevole ancorché qua e là didascalico e fin troppo “facile” nella definizione dei personaggi e in alcuni passaggi della sceneggiatura, il film di Trueba disegna con intelligenza un viaggio che è incontro di solitudini (tutti, ciascuno a modo suo, gridano «Help!», come i Beatles) e spaccato di un paese, provando a dimostrare che un altro mo(n)do è possibile. E che con i sogni, la dignità e il coraggio si può andare lontano. A testa alta.
Giudizio: 3/5
SCHEDA
LA VITA È FACILE AD OCCHI CHIUSI (Vivir es fácil con los ojos cerrados)
REGIA: DAVID TRUEBA
SCENEGGIATURA: DAVID TRUEBA
MUSICHE: PAT METHENY
INTERPRETI: JAVIER CÁMARA, NATALIA DE MOLINA, FRANCESC COLOMER, RAMÓN FONTSERÈ
GENERE: COMMEDIA
Spagna, 2013, 1h e 48’
DOVE: D’AZEGLIO