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Dennis Stock è un fotografo dell’agenzia Magnum che sogna la copertina su “Life” mentre sopravvive paparazzando divi dentro salotti esclusivi. Diviso tra New York e Los Angeles, un figlio e un’ex moglie che gli rinfaccia la latitanza, Dennis è invitato al party di Nicholas Ray, dove incontra James Dean, reduce dal successo di Gioventù bruciata e segnato dalle riprese de La valle dell’Eden. Il volto desolato a un passo dal mito, colpisce Dennis che propone immediatamente a “Life” un servizio sul giovane attore e a Dean di farsi accompagnare dentro la vita. Il rapporto è travagliato ma un viaggio in Indiana, nella fattoria dello zio Marcus e nei luoghi in cui Jimmy è nato, concilia i malintesi e appronta una bella amicizia, immortalata in un’unica fotografia. Costretto da Jack Warner, dispotico produttore della Warner Bros, a rientrare a New York in occasione della premiere de La valle dell’Eden, Jimmy e Dennis si separano. Di quel breve intervallo che fu la loro relazione, rimangono le fotografie intime ed eterne pubblicate sulle pagine di “Life”.
Il lavoro di Anton Corbijn, fotografo e regista olandese, è segnato dalla sua ossessione per la ‘cultura giovanile’, la ribellione e il suo lento sfumare. Di questo parla Life, cogliendo di quella cultura la potenzialità creativa e insieme il disadattamento, la devianza.
Ispirato a una storia vera, l’incontro di due uomini nell’America degli anni Cinquanta, Life segue l’intuizione di Dennis Stock incarnata da James Dean, che il fotografo avverte all’istante come formidabile modello della sua epoca, del suo universo sociale e generazionale. E con l’amicizia nascente tra Dennis Stock e Jimmy Dean, Corbijn ricrea il set, il sentimento e il punto di ripresa dei celebri scatti di “Life”: l’incedere di Dean sul marciapiede di Times Square, i gesti quotidiani nella fattoria dell’Indiana, lo sguardo concentrato su una poltrona dell’Actors Studio.
Opera metalinguistica, mentre svolge la relazione amicale, Life rivela la stessa fascinazione che Stock nutre per Dean e per quella misteriosa qualità che è la fotogenia. A ragione di questo, Corbijn non sceglie Robert Pattinson per interpretare il ruolo di un Dean fumatore e scostante, per quello è perfetto Dane DeHaan, insopportabilmente irriverente, flemmatico, narciso e ‘posato’. Dissimulato dalla luce dei flash e relegato alla funzione anonima dell’osservatore, l’ex poster-boy di Twilight, la cui estetica è definita dai tagli asimmetrici e dai colpi di gel, ribadisce la sua fissità immortale e resta al buio, nel buio. Ossessionato dal suo soggetto, il fotografo di Pattinson abborda Dean, lo assedia e ne è interamente abitato. Poi, proprio come un vampiro, ottenuti gli scatti e la vitadentro quegli scatti, l’interesse svanisce e Stock passa ad altro, congedando dalla sua finestra l’attore in fuga da tutto quello che aveva fortemente desiderato e poi bruciato dentro una Porsche 550. Sensibile (alla luce), tangibile e aderente al suo personaggio e alla prosa della sua vita, DeHaan smuove la superficie della ‘pellicola’ e lascia una traccia indelebile, cogliendo finanche nella voce la ‘verità eterna’ dei film di Dean, il pudore sentimentale dell’uomo, la purezza morale e inestinguibile di un adolescente tagliato fuori dalla società.
Come aveva fatto in La spia – A Most Wanted Man, preavvertendo la perdita di Philip Seymour Hoffman, Corbijn afferra la luce postuma del divo e del processo di costruzione divistica, lavorando dentro una camera oscura e su un corpo sempre a fuoco, sempre in campo. Il corpo di un gigante fragile che legge le poesie di James Whitcomb Riley e interpreta lo spirito dell’innocenza americana.

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Redazione Autore